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I Sabra e la forza dell'Amore
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I Sabra e la forza dell'Amore
L'amore in San Giovanni
Nel Vangelo di San Giovanni ricorre 40 volte il verbo greco agapàn, che vuol dire «amare», e 7 volte il sostantivo agàpe (amore). Le due espressioni riemergono poi rispettivamente 25 e 20 volte nelle Lettere di San Giovanni.
Il verbo agapàn indica benevolenza, prodigalità dei propri favori; lo si usa per significare l'amore gratuito e generoso che ha la sua più alta espressione - secondo Aristotele - nell'amore di una madre verso i figli. Una mamma ama donare, soprattutto donare se stessa; in ciò trova la propria felicità. Spesso agapàn indica anche il ricevere volentieri, il fare festosa accoglienza, ed esprime un amore di gratitudine.
Nella preghiera sacerdotale Gesù chiede al Padre che l'amore divino, su di lui effuso, non solo tocchi e avvolga gli uomini, ma sia in loro, cioè diventi vivo ed efficace nel loro animo. Giovanni parla dell'amore di Dio in noi, dell'amore che il Padre ci ha dato; chi ha questo amore è nato da Dio (c'è in germe la teologia della salvezza degli infedeli). L'amore che anima il cristiano è l'amore stesso del Padre e del Cristo, con gli stessi orientamenti. Come l'amore del Padre ha raggiunto l'uomo mediante il Cristo, così anche l'amore dell'uomo arriva al Padre tramite il Cristo. «Se qualcuno mi ama - dice Gesù - sarà riamato dal Padre mio».
L'amore dell'uomo per Gesù dovrà allora modellarsi sull'amore di Gesù per il Padre: amore operativo, amore che include la pratica esatta dei comandamenti, ma che non vi si esaurisce. «L'obbedienza è il segno dell'amore; l'amore è la condizione dell'obbedienza». L'obbedienza è la dimostrazione concreta e nello stesso tempo la garanzia di permanenza del cristiano nell'amore che Dio gli porta. Dio Padre e il Cristo amano gli uomini; al bene degli uomini dovrà tendere anche il cristiano che sintonizza con la «dolce» volontà divina. Il cristiano, se vuol praticare quello che Gesù chiama il suo comandamento, deve amare i suoi fratelli uomini con l'amore stesso di Gesù e del Padre; amore radicato nel vincolo divino dello Spirito Santo che lega nella più profonda unità il Padre e il Figlio; amore dunque per cui si irradia la stessa vita trinitaria. Primo frutto di questo amore vitale tra gli uomini è la loro unità, che è un riflesso e una proiezione in terra dell'unita stessa che lega nella Trinità il Padre e il Figlio. Il cristiano deve amare i nemici, i non credenti con un amore missionario che tenda alla conversione di tutti, per attrarre tutti al gregge di Cristo: un tale amore missionario è d'obbligo per tutti i discepoli di Gesù. Davanti al mondo, l'unità dei fedeli sarà un criterio infallibile di credibilità nella divina missione di Cristo. La carità è come un lievito che fa lievitare e solleva la massa umana verso l'incontro con Dio.
L'amore fraterno è presentato da Giovanni come un impegno specifico dei fedeli che attendono la Parusia, come il comandamento dell'attesa. La terminologia dell'amore domina incontrastata e sovrana i discorsi d'addio di Gesù nel Cenacolo e gli ultimi capitoli del Vangelo, dove alita uno spirito d'attesa escatologica. Anche San Paolo, quando tesse l'elogio della carità, la presenta come una realtà eminentemente escatologica; nel mondo quaggiù la carità è presente come un'anticipazione di cielo e come l'unica via che dispone e introduce in cielo. Sia per Paolo che per Giovanni la carità, in quanto si estende ai fratelli, resta l'unico vincolo che congiunge la terra al cielo.
Dio è Amore
La carità è illimitata, universale; il precetto è dato da Gesù nella forma più generale. L'amore fraterno dev'essere spoglio da ogni egoismo; il cristiano dovrà essere costantemente sensibile alle necessità dei fratelli, donandosi fino al sacrificio, secondo la misura indicata da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».
La carità si presenta così come una realtà posseduta contemporaneamente da tre soggetti: dal Padre, dal Figlio e dal cristiano. Il Padre ne è la fonte; il Figlio la possiede per piena partecipazione sostanziale; il cristiano la vive per la sua unione a Cristo. Il Padre ama il Figlio e lo dona agli uomini; il Figlio, facendo suo questo amore del Padre, ama il Padre e gli uomini; gli uomini a loro volta, associandosi all'amore di Cristo, amano il Cristo, il Padre e i fratelli. Fluendo dal Padre nei fedeli attraverso il Cristo, l'amore resta sempre un'unica realtà divina che non può venire bloccata o interrotta senza uscirne totalmente distrutta. La carità è indivisibile; limitarla in una parte è limitarla in tutto. Non si può negare l'amore ai propri fratelli senza negarlo a Dio. Non si può rifiutare l'amore a Dio senza rifiutarlo ai propri fratelli.
Il primo frutto della carità è una profonda unione che intercorre tra coloro che si amano. San Giovanni presenta questa unione sotto l'immagine di una mutua inabitazione; letterariamente la esprime nelle due formule: essere in...; rimanere in...
Giovanni afferma l'inscindibilità della carità dalla fede: egli sottolinea spesso il valore rivelativo della carità (cioè la carità porta alla fede) e la capacità unitiva della fede (cioè la fede porta alla carità). Fede e amore sono due elementi che si completano a vicenda e costituiscono la vita divina in noi. L'amore entra decisamente nella fede e la muove ad agire; la fede penetra nell'amore e gli dà luce.
Solo allora, dice il poeta inglese Blake, si impara a «vedere il mondo in un granellino di sabbia, a vedere il cielo in un fiore di selva, a tenere nella palma l'infinito e a stringere l'eternità in un'ora». Fu questa la lezione impartita con foga da San Paolo agli Ateniesi: «Dio non è lontano da nessuno di noi, perché in lui viviamo, ci muoviamo e abbiamo l'esistenza». Tennyson scrisse un verso scintillante e in parte vero: «Uomo, cadi in ginocchio: qui ci sono le viole».
Amate, irradiando gioia. Sorridete
Il sorriso è uno dei doni più belli che Dio abbia fatto all'uomo; è una manifestazione di vita profonda, uno spioncino aperto sul proprio io segreto. Fa emergere le profondità dell'animo. Tra compagni si ride anche fragorosamente, ma tra amici e tra persone che si vogliono bene si sorride. Il sorriso è uno dei migliori mezzi di espressione di quella grande silenziosa che è l'anima.
Ci sono dei sorrisi che sono corrotti: il sorriso enigmatico, attraverso il quale si occulta la propria anima piuttosto che rivelarla; il sorriso scettico, con cui si mostra diffidenza dinanzi agli altri; il sorriso sdegnoso, con cui si afferma la propria superiorità, il sorriso sornione, con cui ci si mette in stato di difesa o di provocazione di fronte a un avversario. Nella commedia La regina morta di Montherlant, il protagonista Ferrante dice a Ines: «Ho voluto farti sorridere. Quando si dubita se uno sconosciuto sia pericoloso o no, basta guardarlo sorridere, il suo sorriso è un'indicazione, se non proprio una certezza».
Il sorriso ci è stato dato da Dio perché noi si potesse con quello fare al prossimo l'offerta del nostro io profondo. Basta guardare i bimbi. Finché non sorridono, la mamma non ha l'impressione di possederli completamente. La giovane mamma spia ogni giorno la comparsa di questo segno di presenza dell'amore nel volto del suo bimbo. E quando il sorriso fiorisce sulle labbrucce del piccino, la mamma ne gode: solo allora si intrecciano le prime relazioni veramente umane tra madre e figlio.
Bisogna sorridere con la freschezza e la donazione stessa dei bimbi. Il sorriso dei bimbi è un autentico dono dell'anima. I bimbi sono nuovi, freschi, aperti, semplici, chiari, senza amor proprio, senza risentimenti. Con la musica e la preghiera sono una di quelle grandi porte aperte su un mistero, non di tenebra ma di luce.
Ci sono degli uomini che hanno un volto sempre corrucciato. Un grande industriale aveva un aspetto costantemente funebre; eppure regalava grosse somme ai poveri e in opere di beneficenza. Ma le regalava con volto funereo. Anche quando donate pochissimo, magari 10 lire, datele con un sorriso: è un raddoppiare la somma.
Quando sorridete, voi vi umanizzate. Il sorriso è come un levarsi del sole sul viso di un uomo. Ogni famiglia diventerebbe un nido di cielo se i suoi membri avessero la preoccupazione di sorridersi vicendevolmente. Quando il padre torna a casa dal lavoro e trova i suoi familiari che lo salutano col sorriso, si sente ripagato dei suoi sacrifici. Il sorriso è una carità che costa pochissimo: esige solo un'anima aperta e accogliente.
Il sorriso non è un semplice gesto delle labbra; è piuttosto un segno di gratitudine, di comprensione, di fiducia. Bisognerebbe acclimatarlo sul proprio volto. Il poeta americano Walt Whitman diceva: «Non è importante quello che faremo con gli anni della nostra vita; è importante quello che stiamo facendo in ogni ora. E ogni ora noi la possiamo illuminare col sorriso».
Un'offerta di amore: la lode
La lode è un segno di alta distinzione spirituale; è l'indice di un'anima fine. Bisogna essere personalmente buoni per discernere il buono negli altri, per compiacersene e godere di farlo conoscere, per rallegrarsi del successo altrui. Però come ogni cosa di gran pregio, la lode è talmente fragile che può corrompersi e degenerare in indiscrezione, in volgarità, in adulazione. Ma quando zampilla da un cuore sincero, è uno dei più bei regali. La lode dilata l'anima di chi la riceve, gli mette una nuova fiamma nel cuore, gli crea un clima di slancio e di gioia.
Gli uomini sono felici di essere complimentati e lodati, per il loro lavoro, per la loro intelligenza, per la riuscita nelle loro imprese. E le donne sono particolarmente abili nell'offrire la lode agli uomini.
Le donne, molto più degli uomini, desiderano essere lodate. In generale gli uomini sono dei perfetti analfabeti nell'arte di porgere un complimento o una lode. Gli psicologi notano che ci pensano e ci riescono solo al tempo del loro fidanzamento. Ma una volta sposati se ne dimenticano. Riassorbiti dal loro egoismo maschile, immersi negli affari e nel commercio, non s'accorgono delle «mille e una sottigliezze» con le quali una moglie cerca di riuscire gradita e di strappare una lode.
La lode è uno stimolante energico dell'azione. Il grande storico belga Pirenne, nella prefazione all'ultimo volume della sua Storia del Belgio scrisse così: «E adesso io do l'addio a questo mio lavoro che mi ha assorbito una gran parte di vita e che è stato la mia gioia. Durante i 35 anni che vi ho lavorato, la salute mi ha sempre sostenuto e la cara compagna del mio focolare ha vegliato sul mio tempo. Senza il suo affettuoso appoggio non sarei mai arrivato alla fine». Delicatissimo riconoscimento. È una maniera elegante di complimentare: associare gli altri al merito del proprio lavoro.
A un sofferente di ulcera un brillante medico, il dottor Pauchod, dette questo consiglio: «Lei, signore, vive troppo ripiegato su se stesso. Mi creda: il mondo è uno specchio in cui ognuno riflette se stesso. Se lei imparasse a complimentare gli altri, il mondo le farebbe un complimento. Per guarire la sua ulcera occorre sentirsi amati dagli altri».
Aveva azzeccato giusto.
Non è vero che il lodare gli altri sia un'adulazione. È adulazione quando la lode non è sincera. Ma il complimento e la lode che sgorgano dall'anima sono segni di bontà squisita.
Ci sono delle lodi che fioriscono dal cuore. Una moglie al marito nel venticinquesimo di matrimonio scrisse: «Io non ti amo soltanto per quello che sei; ti amo per quello che son diventata stando accanto a te».
La lode che piace moltissimo è quella che riferisce le stesse parole dette dall'interessato. Lusinga colui che la riceve.
«Quella sera avete detto una frase stupenda, maestro», disse un ammiratore al direttore d'orchestra Toscanini.
«Che cosa ho detto?» chiese Toscanini che se n'era già dimenticato. «Avete detto che Beethoven bisogna sentirlo col cuore».
Toscanini si dimostrò felice di quell'apprezzamento. Per la verità non ricordava più di aver detto quell'espressione; ma il complimento gli parve indovinatissimo, appunto perché riferito con quelle parole di ricordo.
Gli uomini in generale preferiscono che si lodi qualche loro dote spiccatamente maschile (la forza, la vigoria...). Le donne sono entusiaste se si loda la loro capacità di comprensione o il loro intuito, la loro delicatezza.
Una lode che piace sempre è quella che riporta i giudizi lusinghieri espressi dagli altri.
È un complimento amplificato, molto più efficace che se fosse diretto.
«Sai, - disse un amico al francese Mauriac - tutti dicono che il premio Nobel ti è stato assegnato a pieno diritto».
Mauriac confessò che quel complimento indiretto gli aveva fatto molto piacere.
Quando si incontra una persona che per effetto della sua posizione è oggetto di troppe lodi, non c'è di meglio che complimentarla indirettamente, lodando cioè qualche cosa che è di sua preferenza (la sua casa, il suo giardino, le sue occupazioni).
Per quanto un uomo possa dubitare della verità di ciò che gli vien detto sul suo conto, non dubita mai dell'elogio per le cose che egli ama.
Duhamel scrisse: «La più grande gioia è dare felicità agli altri. La lode sincera è un atto di carità delicata. Coloro che l'ignorano, hanno tutto da imparare dalla vita».
Un cuore che ama è riconoscente
«Avevo avuto come insegnante di scienze naturali all'Università un professore che aveva fama di essere un orso intrattabile. Anni dopo - racconta Donald Peattie - ricordandomi di lui gli scrissi per ringraziarlo e per dirgli l'importanza che per me avevano avuto le sue lezioni. Ricevetti subito la sua risposta. Diceva: "La tua lettera ha dato un significato a tutta la mia vita d'insegnamento. In 35 anni passati a dare il meglio di me stesso, non avevo mai ricevuto finora una sola parola di riconoscenza da parte di uno scolaro. Grazie"».
Costa così poco dire grazie. La riconoscenza è una delle più alte espressioni dell'amore. Ma esige dimenticanza di sé e sguardo sugli altri. È un dono, uno dei più bei doni che si possa fare agli uomini.
Esprimete la vostra riconoscenza con le parole. Una parola di gratitudine produce in chi la riceve una misteriosa impressione di gioia, di felicità, di espansione. «Quando sento la mia bambina dirmi con letizia riconoscente: "Grazie, papà", mi sembra di essere un re», scriveva Leone Bloy. La riconoscenza, per essere espressa in parole, esige una grande semplicità e purezza di cuore.
Dite il vostro grazie con uno sguardo, con un gesto, con un sorriso. «Quando una povera bimba idrocefala mi espresse la sua gioia con un lampo negli occhi - raccontò un corrispondente del Catholic Digest che aveva fatto visita al Cottolengo di Torino - compresi che quella piccina mi aveva abbellito di gioia il momento presente».
Ringraziando, voi vi arricchite. È sufficiente talvolta un semplice sorriso per esprimere un grazie. Non occorre altro. San Paolo invitava i primi cristiani: «In ogni circostanza dite sempre grazie a Dio Padre, per mezzo del Signore Gesù Cristo».
Siate riconoscenti contraccambiando con la preghiera. «Qualunque cosa chiederete in nome mio, - ha detto Gesù - l'otterrete». Una maniera finissima per ricambiare un dono che vi è stato fatto è il pregare. La preghiera è come presentare un blocchetto di assegni al Signore, pregandolo di metterci la sua firma. Lui firma e voi potete riscuotere il dono.
Dite il vostro grazie con una lettera. Alcune volte la voce non sa esprimere la gratitudine del cuore. Basta allora una semplice lettera con un grazie per scritto: serve a riscaldare il cuore di un amico o a far sì che un estraneo vi diventi amico. Scrivetela, e per espresso.
Dite il vostro grazie con un dono. «Il dono più bello per l'onomastico della mamma - racconta Francis Jammes - fu quando la pregammo di starsene tranquilla tutto il giorno. Papà, io e le sorelle sbrigammo le faccende di casa. Preparammo noi da mangiare, facemmo tutto, lavammo perfino i piatti. La mamma alla fine ci disse: "Grazie, non potevate farmi un dono più bello: mi avete regalato una giornata"».
Ringraziate Dio mattina e sera. Lui è Padre, Signore, Creatore. Luigi Bromfield, l'autore di La grande pioggia, scrisse una stupenda preghiera di ringraziamento: «O Signore, ti ringrazio del dono di vivere in un mondo pieno di bellezza, di emozioni, di diversità. Ti ringrazio della gioia della musica, dei figli, del pensiero, delle conversazioni con gli altri uomini, dei libri che posso leggere accanto al fuoco o a letto mentre la pioggia picchia sul tetto o la neve turbina fuori delle finestre. Ti ringrazio del sorriso che splende sul volto, del contatto di una mano amica, del riso di un bimbo, dello scodinzolare di un cane. Ti ringrazio di tutte queste cose e di tante altre ancora. Ma soprattutto ti ringrazio della gente, della sua bontà e comprensione che sovrastano infinitamente l'invidia, gli inganni e i raggiri».
Una bimba, quando volle esprimere il suo grazie ai genitori, disse così: «Voi siete nati dal mio cuore». Non poteva trovare una formula più bella.
La pazienza è il prolungamento dell'amore
Un americano ebbe lo scrupolo di annotare tutti i litigi domestici che erano scoppiati tra lui e la moglie, durante 15 anni di vita coniugale. Eccone il bilancio:
1689 volte litigò lui: perché non era pronto da mangiare;
1282 volte litigò lei: perché lui spendeva troppo con gli amici;
1631 volte, lui: perché lei spendeva troppo nei negozi di moda;
3 volte, lui: perché lei era gelosa;
853 volte, lei: perché lui era rientrato con le scarpe sporche;
550 volte, lei: perché lui non voleva credere che sarebbero morti tutti e due nello stesso giorno;
1 volta, lui: perché lei si era servita di un vecchio rasoio per scucire un abito.
Contro i litigi non c'è altro rimedio che la pazienza. «La carità (cioè l'amore) è pazienza», scrisse San Paolo. E San Tommaso notava che la pazienza è la virtù dei forti. La perfetta letizia nasce dalla pazienza, soleva dire San Francesco d'Assisi.
Ecco sette segreti che possono aiutare a conquistare questa splendida virtù:
1. Essere persuasi che non c'è forza più potente al mondo dell'amore, cioè della bontà. I «duri» non fanno che inasprire.
2. Avere una profonda vita interiore. Quando Dio è tutto in un'anima, allora le cose di quaggiù prendono un'esatta dimensione e prospettiva.
3. Saper dimenticare. Quando si è offesi, insorgono subito dei sentimenti vivi di reazione. Lasciate passare il tempo, dimenticate; tutto ritornerà normale.
4. Saper tacere. Occorre un'estrema padronanza di se stessi perché le parole restino calme nel momento in cui ci si sente feriti nelle fibre più intime della personalità.
Monica, madre di Sant'Agostino, aveva un marito che era una peste. Passata la sfuriata, con delicatezza gli diceva le poche parole di rimprovero. Quando le sue amiche le chiedevano come facesse a sopportare un marito così collerico, rispondeva: «Tengo a freno la lingua».
Prima della guerra mondiale, nell'esercito tedesco un soldato non aveva il permesso di protestare o querelare subito chi l'avesse offeso. Doveva prima dormirci sopra e calmarsi. Se formulava il suo reclamo immediatamente, veniva punito. L'americano Carnegie, che riferisce il fatto, commenta: «Ci dovrebbe essere una legge simile anche per tutti i brontoloni, gli irascibili e i malcontenti».
5. Saper prevedere. Occorre studiare i momenti in cui si accumulano le tensioni, e preventivare le occasioni e le persone che possono far perdere la pazienza. Si tratta di una semplice programmazione, all'inizio di ogni giornata.
6. Saper chiedere scusa. L'impazienza fa spesso commettere degli sbagli; quando ci si accorge di aver sbagliato non c'è di meglio che chiedere scusa, soprattutto alle persone inferiori. Facendo così non ci si diminuisce, non ci si disonora affatto; al contrario ci si ingrandisce e ci si fa amare. La gente umile capisce che si può anche sbagliare. Ma non capisce mai che si possa diventare ingiusti.
7. Non drammatizzare. La maggior parte dei litigi ha origine da una bagatella. Una scintilla scatena un incendio. Una goccia d'acqua provoca un diluvio. Una semplice divergenza fa scoppiare un conflitto. Tutto ciò perché si esagera; bisogna ridurre ogni cosa alle giuste proporzioni.
Ci sono famiglie in cui il litigio esiste allo stato endemico. Tutto prende proporzioni drammatiche: una porta mal chiusa, una forchetta messa male, il caffè troppo caldo o troppo freddo, le patate senza sale o salate due volte, una boccetta rovesciata, un ritardo di cinque minuti, una dimenticanza insignificante, un disguido senza importanza: ogni sciocchezza diventa motivo di irritazione e di litigio.
Un giurista che ha dovuto studiare in America migliaia di casi di abbandono di domicilio da parte di uno dei coniugi, ha dichiarato che gli uomini se ne andavano via generalmente perché erano stufi di litigare con la moglie.
Mettetevi con l'umiltà a servizio degli altri
Tenete presente che:
1. Ogni uomo è convinto della propria importanza e ci tiene che sia riconosciuta anche dagli altri.
2. Ognuno si interessa principalmente a sé.
Ed ecco una collana di piccole norme utili per la conversazione:
Evitate i lunghi monologhi. La conversazione consiste essenzialmente in un dialogo, ma perde il suo carattere proprio di scambio verbale quando voi fate un monologo e vi impancate a professore.
Se voi parlate interminabilmente, chi ascolta non vi potrà seguire senza fatica. Più prolungate il vostro discorso e più gli interlocutori trovano penosa e irritante la doccia di noia che voi infliggete loro.
Toccate gli argomenti che interessano il vostro interlocutore. Ecco il fascino di un conversatore brillante: tenere sempre teso l'interesse di chi ascolta. Avete mai sentito dei signori che discutono di politica o di diplomazia con donne che siano appassionatissime di moda e di cosmetici? Sarebbe una gaffe madornale.
Un giovane scienziato, naturalista di eccellente valore, che apparteneva all'alta società, frequentava i salotti più chic ma, pieno di preoccupazioni scientifiche, non parlava che di batraci e di rane. Gli altri naturalmente lo schivavano perché non c'era verso che lui non intercalasse nella conversazione i suoi studi sulle rane, evitando rigorosamente ciò che poteva interessare gli altri. Quando compariva lui, provocava il vuoto attorno a sé.
Parlate con il vostro interlocutore di ciò che l'interessa; meglio ancora, fate parlare il vostro interlocutore. Mostrategli il piacere che voi provate ad ascoltarlo. Ne sarà entusiasmato e racconterà dappertutto che voi siete la fenice dei conversatori. Ciò suppone un po' di abnegazione; non tanta, però: un po' di oblio di sé, di dimenticanza.
Ascoltate, ascoltate. Si trovano molti facondi parlatori, ma pochi buoni uditori. Ascoltate il vostro interlocutore con attenzione. Metteteci sufficiente intelligenza per seguire ciò che dice. Anche se ciò che uno dice non è molto divertente, però chi lo dice è un magnifico soggetto di osservazione. Un adolescente scriveva: «Un uomo: che splendida cosa!».
Discutete, ma sempre con cortesia; sappiate riconoscere la parte di verità che contengono le ragioni dell'altro. Senza benevolenza la conversazione rischia di degenerare in querela, persino in pugilato. Saper ascoltare è un rendere un omaggio prezioso a chi parla; ne resta lusingato e confortato. Imprimete questa regola nella vostra memoria, come uno slogan: ascoltare, ascoltare, ascoltare...
Mettete il vostro interlocutore in rilievo; fatelo brillare. Conducete abilmente la conversazione sugli argomenti che gli convengono. Sostenetelo con delle approvazioni, con dei consensi ripetuti. Introducete delle domande, delle osservazioni che ravvivino il colloquio.
Fate come il gioielliere che per ammirare un diamante lo colloca sotto un raggio di luce, in modo che sprigioni tutto il suo splendore. Manovrate in modo che il vostro interlocutore si mostri scintillante. Per riuscirci occorre molta finezza e molto tatto; bisogna maneggiare la conversazione con una maestria che suppone una lunga esperienza. Ma in compenso voi dimostrerete le risorse del vostro spirito, la nobiltà del vostro interesse, la generosità del vostro cuore. Vi stimeranno e vi ameranno di più.
Fate dei complimenti. Occorre rivelarli nel momento opportuno. L'uomo è «un vaso che ha per manico la vanità». Voi lo potete maneggiare a piacimento, sollevandolo per il manico. Ma l'arte di complimentare è meno conosciuta di quanto si pensi. Per riuscirvi bisogna riunire in sé disinteresse, benevolenza, finezza, tatto, sincerità. I complimenti per essere schietti devono essere veridici e vertere su punti degni di una certa ammirazione. Devono essere sinceri, cioè esprimere un'opinione reale. Devono essere misurati. E devono partire dal cuore. Anche qui è difficile giocare la commedia. Come il volto tradisce le emozioni, così la voce rivela i vostri sentimenti.
Abbiate uno spirito accogliente. Cioè, sappiate accogliere con benevolenza ed esaminare con imparzialità i desideri, i gusti del vostro interlocutore. C'è chi è appassionato di Wagner e chi di Mozart; c'è chi gusta il jazz e chi apprezza il quartetto di musica classica. Accettate francamente ciò che è accettabile, discutete con cortesia. Presentate i vostri argomenti, ma ascoltate anche quelli dei vostri interlocutori. Quando vi sarete fatto uno spirito largamente ospitale, troverete piacere a conversare.
Non fate mai dell'ironia. Il vostro interlocutore ha l'epidermide sensibile. Ricordate il principio: ogni uomo crede alla propria importanza e ci tiene che sia riconosciuta. La minima parola lo diminuisce, lo ferisce e lo urta. Potrà anche sorridere esternamente, ma dentro digrigna i denti. Nessuno ama essere preso in giro, soprattutto in pubblico. Non scherzate nemmeno sui cognomi. Abbiate in questo un'anima gentilissima.
Rispettate gli assenti. Non ci guadagnate mai a parlare male o a mormorare degli assenti. Imponetevi la regola di rispettare gli assenti; non permettetevi sul loro conto alcun giudizio sfavorevole. È questione di nettezza morale.
Il maldicente non diverte che un minuto. Anzi, si fa detestare. Coloro che si sono esilarati alle sue battute mordaci lo temono a loro volta, perché hanno paura di diventare bersaglio delle sue frecce avvelenate.
Rispettate gli assenti, parlatene bene. Se non avete niente da dire a loro vantaggio, tacete. Però è strano che non ci sia nulla da dire di bene sul conto degli altri. Prendete, e bene, le difese degli assenti quando li attaccano in vostra presenza.
Non parlate di voi stessi. Non vi è conversatore peggiore di chi ostenta la propria vanità e fa la ruota come il pavone. Il vostro interlocutore pensa soprattutto a sé; si considera come un centro a cui tutto fa capo.
Non imbarcatevi mai in un interminabile monologo su voi stessi. Per essere veramente simpatici, occorre dimenticarsi, occorre «rinnegare se stessi», come insegna Gesù.
Vi farete in questa maniera una cerchia vasta di amicizie. «Ho sempre pensato - scrisse Ella Wheeler - che le amicizie siano la biblioteca del cuore. L'amico serio è come un libro di filosofia; l'amico gaio è come un libro dilettevole».
Scrisse Goëthe: «L'amore non cerca di dominare; fa di più: l'amore forma».
L'amore è cortesia
Era un chirurgo dai capelli bianchi, come di seta. Dopo un'operazione, disse a una fragile vecchietta:
- Se l'è cavata bene lei, signora Lucia; domani potrà tornare a casa.
- Non l'avrei mai sperato, dottore - rispose la signora Lucia. - È stato tutto merito suo e della sua bontà.
Poi, dopo una leggera pausa d'imbarazzo, aggiunse:
- I suoi conti sono così modesti e per di più devo sempre insistere per farmeli mandare. Ma non posso accettare la sua carità. Non si dimentichi, dottore. Mi faccia sapere quanto le devo.
- Non me ne dimenticherò, - rispose pronto il chirurgo - e mi farò presto vivo.
Qualche giorno dopo la fragile vecchietta riceveva il conto: la cifra era altissima, sbalorditiva. Ma in fondo al foglio il chirurgo aveva scritto: «Pagato tutto dalla sua cortesia squisita, signora Lucia».
Ecco una forma di carità: la cortesia.
La maleducazione rende antipatici. Ci sono delle persone che si fanno uno scrupolo di presentarsi compitissime. Eppure non conquistano i cuori. Che cosa manca loro? Sono come certe rose che sbocciano con una magnificenza sovrana. Se ne ammira lo splendore delicato dei petali; ci si china per fiutarle, ma ahimè, quelle rose non hanno il profumo. Il profumo della cortesia è la cordialità. Voi non susciterete mai simpatia se non farete sentire prima agli altri il vostro amore, la vostra simpatia. Si verifica il detto di Gesù: «Date è vi sarà dato».
La semplice cortesia evita gli urti e permette di vivere in pace con il prossimo. Ma è solo un elemento negativo che non serve a creare l'amicizia. Occorre aggiungervi un elemento positivo: l'amore.
Voi, per esempio, salutate il prossimo, lo felicitate, lo trattate con riguardo. Facendo così, evitate di ferirlo. Ma se al vostro saluto si accompagna un sorriso; se la vostra congratulazione prende un accento di cordialità; se la vostra stretta di mano diventa affettuosa; se i vostri gesti manifestano il desiderio di fargli piacere, tutto cambia. La cortesia allora diventa affettuosa e benevola. Essa tocca il prossimo, lo affascina, e vi attira subito la sua amicizia.
Nel Vangelo di San Giovanni ricorre 40 volte il verbo greco agapàn, che vuol dire «amare», e 7 volte il sostantivo agàpe (amore). Le due espressioni riemergono poi rispettivamente 25 e 20 volte nelle Lettere di San Giovanni.
Il verbo agapàn indica benevolenza, prodigalità dei propri favori; lo si usa per significare l'amore gratuito e generoso che ha la sua più alta espressione - secondo Aristotele - nell'amore di una madre verso i figli. Una mamma ama donare, soprattutto donare se stessa; in ciò trova la propria felicità. Spesso agapàn indica anche il ricevere volentieri, il fare festosa accoglienza, ed esprime un amore di gratitudine.
Nella preghiera sacerdotale Gesù chiede al Padre che l'amore divino, su di lui effuso, non solo tocchi e avvolga gli uomini, ma sia in loro, cioè diventi vivo ed efficace nel loro animo. Giovanni parla dell'amore di Dio in noi, dell'amore che il Padre ci ha dato; chi ha questo amore è nato da Dio (c'è in germe la teologia della salvezza degli infedeli). L'amore che anima il cristiano è l'amore stesso del Padre e del Cristo, con gli stessi orientamenti. Come l'amore del Padre ha raggiunto l'uomo mediante il Cristo, così anche l'amore dell'uomo arriva al Padre tramite il Cristo. «Se qualcuno mi ama - dice Gesù - sarà riamato dal Padre mio».
L'amore dell'uomo per Gesù dovrà allora modellarsi sull'amore di Gesù per il Padre: amore operativo, amore che include la pratica esatta dei comandamenti, ma che non vi si esaurisce. «L'obbedienza è il segno dell'amore; l'amore è la condizione dell'obbedienza». L'obbedienza è la dimostrazione concreta e nello stesso tempo la garanzia di permanenza del cristiano nell'amore che Dio gli porta. Dio Padre e il Cristo amano gli uomini; al bene degli uomini dovrà tendere anche il cristiano che sintonizza con la «dolce» volontà divina. Il cristiano, se vuol praticare quello che Gesù chiama il suo comandamento, deve amare i suoi fratelli uomini con l'amore stesso di Gesù e del Padre; amore radicato nel vincolo divino dello Spirito Santo che lega nella più profonda unità il Padre e il Figlio; amore dunque per cui si irradia la stessa vita trinitaria. Primo frutto di questo amore vitale tra gli uomini è la loro unità, che è un riflesso e una proiezione in terra dell'unita stessa che lega nella Trinità il Padre e il Figlio. Il cristiano deve amare i nemici, i non credenti con un amore missionario che tenda alla conversione di tutti, per attrarre tutti al gregge di Cristo: un tale amore missionario è d'obbligo per tutti i discepoli di Gesù. Davanti al mondo, l'unità dei fedeli sarà un criterio infallibile di credibilità nella divina missione di Cristo. La carità è come un lievito che fa lievitare e solleva la massa umana verso l'incontro con Dio.
L'amore fraterno è presentato da Giovanni come un impegno specifico dei fedeli che attendono la Parusia, come il comandamento dell'attesa. La terminologia dell'amore domina incontrastata e sovrana i discorsi d'addio di Gesù nel Cenacolo e gli ultimi capitoli del Vangelo, dove alita uno spirito d'attesa escatologica. Anche San Paolo, quando tesse l'elogio della carità, la presenta come una realtà eminentemente escatologica; nel mondo quaggiù la carità è presente come un'anticipazione di cielo e come l'unica via che dispone e introduce in cielo. Sia per Paolo che per Giovanni la carità, in quanto si estende ai fratelli, resta l'unico vincolo che congiunge la terra al cielo.
Dio è Amore
La carità è illimitata, universale; il precetto è dato da Gesù nella forma più generale. L'amore fraterno dev'essere spoglio da ogni egoismo; il cristiano dovrà essere costantemente sensibile alle necessità dei fratelli, donandosi fino al sacrificio, secondo la misura indicata da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».
La carità si presenta così come una realtà posseduta contemporaneamente da tre soggetti: dal Padre, dal Figlio e dal cristiano. Il Padre ne è la fonte; il Figlio la possiede per piena partecipazione sostanziale; il cristiano la vive per la sua unione a Cristo. Il Padre ama il Figlio e lo dona agli uomini; il Figlio, facendo suo questo amore del Padre, ama il Padre e gli uomini; gli uomini a loro volta, associandosi all'amore di Cristo, amano il Cristo, il Padre e i fratelli. Fluendo dal Padre nei fedeli attraverso il Cristo, l'amore resta sempre un'unica realtà divina che non può venire bloccata o interrotta senza uscirne totalmente distrutta. La carità è indivisibile; limitarla in una parte è limitarla in tutto. Non si può negare l'amore ai propri fratelli senza negarlo a Dio. Non si può rifiutare l'amore a Dio senza rifiutarlo ai propri fratelli.
Il primo frutto della carità è una profonda unione che intercorre tra coloro che si amano. San Giovanni presenta questa unione sotto l'immagine di una mutua inabitazione; letterariamente la esprime nelle due formule: essere in...; rimanere in...
Giovanni afferma l'inscindibilità della carità dalla fede: egli sottolinea spesso il valore rivelativo della carità (cioè la carità porta alla fede) e la capacità unitiva della fede (cioè la fede porta alla carità). Fede e amore sono due elementi che si completano a vicenda e costituiscono la vita divina in noi. L'amore entra decisamente nella fede e la muove ad agire; la fede penetra nell'amore e gli dà luce.
Solo allora, dice il poeta inglese Blake, si impara a «vedere il mondo in un granellino di sabbia, a vedere il cielo in un fiore di selva, a tenere nella palma l'infinito e a stringere l'eternità in un'ora». Fu questa la lezione impartita con foga da San Paolo agli Ateniesi: «Dio non è lontano da nessuno di noi, perché in lui viviamo, ci muoviamo e abbiamo l'esistenza». Tennyson scrisse un verso scintillante e in parte vero: «Uomo, cadi in ginocchio: qui ci sono le viole».
Amate, irradiando gioia. Sorridete
Il sorriso è uno dei doni più belli che Dio abbia fatto all'uomo; è una manifestazione di vita profonda, uno spioncino aperto sul proprio io segreto. Fa emergere le profondità dell'animo. Tra compagni si ride anche fragorosamente, ma tra amici e tra persone che si vogliono bene si sorride. Il sorriso è uno dei migliori mezzi di espressione di quella grande silenziosa che è l'anima.
Ci sono dei sorrisi che sono corrotti: il sorriso enigmatico, attraverso il quale si occulta la propria anima piuttosto che rivelarla; il sorriso scettico, con cui si mostra diffidenza dinanzi agli altri; il sorriso sdegnoso, con cui si afferma la propria superiorità, il sorriso sornione, con cui ci si mette in stato di difesa o di provocazione di fronte a un avversario. Nella commedia La regina morta di Montherlant, il protagonista Ferrante dice a Ines: «Ho voluto farti sorridere. Quando si dubita se uno sconosciuto sia pericoloso o no, basta guardarlo sorridere, il suo sorriso è un'indicazione, se non proprio una certezza».
Il sorriso ci è stato dato da Dio perché noi si potesse con quello fare al prossimo l'offerta del nostro io profondo. Basta guardare i bimbi. Finché non sorridono, la mamma non ha l'impressione di possederli completamente. La giovane mamma spia ogni giorno la comparsa di questo segno di presenza dell'amore nel volto del suo bimbo. E quando il sorriso fiorisce sulle labbrucce del piccino, la mamma ne gode: solo allora si intrecciano le prime relazioni veramente umane tra madre e figlio.
Bisogna sorridere con la freschezza e la donazione stessa dei bimbi. Il sorriso dei bimbi è un autentico dono dell'anima. I bimbi sono nuovi, freschi, aperti, semplici, chiari, senza amor proprio, senza risentimenti. Con la musica e la preghiera sono una di quelle grandi porte aperte su un mistero, non di tenebra ma di luce.
Ci sono degli uomini che hanno un volto sempre corrucciato. Un grande industriale aveva un aspetto costantemente funebre; eppure regalava grosse somme ai poveri e in opere di beneficenza. Ma le regalava con volto funereo. Anche quando donate pochissimo, magari 10 lire, datele con un sorriso: è un raddoppiare la somma.
Quando sorridete, voi vi umanizzate. Il sorriso è come un levarsi del sole sul viso di un uomo. Ogni famiglia diventerebbe un nido di cielo se i suoi membri avessero la preoccupazione di sorridersi vicendevolmente. Quando il padre torna a casa dal lavoro e trova i suoi familiari che lo salutano col sorriso, si sente ripagato dei suoi sacrifici. Il sorriso è una carità che costa pochissimo: esige solo un'anima aperta e accogliente.
Il sorriso non è un semplice gesto delle labbra; è piuttosto un segno di gratitudine, di comprensione, di fiducia. Bisognerebbe acclimatarlo sul proprio volto. Il poeta americano Walt Whitman diceva: «Non è importante quello che faremo con gli anni della nostra vita; è importante quello che stiamo facendo in ogni ora. E ogni ora noi la possiamo illuminare col sorriso».
Un'offerta di amore: la lode
La lode è un segno di alta distinzione spirituale; è l'indice di un'anima fine. Bisogna essere personalmente buoni per discernere il buono negli altri, per compiacersene e godere di farlo conoscere, per rallegrarsi del successo altrui. Però come ogni cosa di gran pregio, la lode è talmente fragile che può corrompersi e degenerare in indiscrezione, in volgarità, in adulazione. Ma quando zampilla da un cuore sincero, è uno dei più bei regali. La lode dilata l'anima di chi la riceve, gli mette una nuova fiamma nel cuore, gli crea un clima di slancio e di gioia.
Gli uomini sono felici di essere complimentati e lodati, per il loro lavoro, per la loro intelligenza, per la riuscita nelle loro imprese. E le donne sono particolarmente abili nell'offrire la lode agli uomini.
Le donne, molto più degli uomini, desiderano essere lodate. In generale gli uomini sono dei perfetti analfabeti nell'arte di porgere un complimento o una lode. Gli psicologi notano che ci pensano e ci riescono solo al tempo del loro fidanzamento. Ma una volta sposati se ne dimenticano. Riassorbiti dal loro egoismo maschile, immersi negli affari e nel commercio, non s'accorgono delle «mille e una sottigliezze» con le quali una moglie cerca di riuscire gradita e di strappare una lode.
La lode è uno stimolante energico dell'azione. Il grande storico belga Pirenne, nella prefazione all'ultimo volume della sua Storia del Belgio scrisse così: «E adesso io do l'addio a questo mio lavoro che mi ha assorbito una gran parte di vita e che è stato la mia gioia. Durante i 35 anni che vi ho lavorato, la salute mi ha sempre sostenuto e la cara compagna del mio focolare ha vegliato sul mio tempo. Senza il suo affettuoso appoggio non sarei mai arrivato alla fine». Delicatissimo riconoscimento. È una maniera elegante di complimentare: associare gli altri al merito del proprio lavoro.
A un sofferente di ulcera un brillante medico, il dottor Pauchod, dette questo consiglio: «Lei, signore, vive troppo ripiegato su se stesso. Mi creda: il mondo è uno specchio in cui ognuno riflette se stesso. Se lei imparasse a complimentare gli altri, il mondo le farebbe un complimento. Per guarire la sua ulcera occorre sentirsi amati dagli altri».
Aveva azzeccato giusto.
Non è vero che il lodare gli altri sia un'adulazione. È adulazione quando la lode non è sincera. Ma il complimento e la lode che sgorgano dall'anima sono segni di bontà squisita.
Ci sono delle lodi che fioriscono dal cuore. Una moglie al marito nel venticinquesimo di matrimonio scrisse: «Io non ti amo soltanto per quello che sei; ti amo per quello che son diventata stando accanto a te».
La lode che piace moltissimo è quella che riferisce le stesse parole dette dall'interessato. Lusinga colui che la riceve.
«Quella sera avete detto una frase stupenda, maestro», disse un ammiratore al direttore d'orchestra Toscanini.
«Che cosa ho detto?» chiese Toscanini che se n'era già dimenticato. «Avete detto che Beethoven bisogna sentirlo col cuore».
Toscanini si dimostrò felice di quell'apprezzamento. Per la verità non ricordava più di aver detto quell'espressione; ma il complimento gli parve indovinatissimo, appunto perché riferito con quelle parole di ricordo.
Gli uomini in generale preferiscono che si lodi qualche loro dote spiccatamente maschile (la forza, la vigoria...). Le donne sono entusiaste se si loda la loro capacità di comprensione o il loro intuito, la loro delicatezza.
Una lode che piace sempre è quella che riporta i giudizi lusinghieri espressi dagli altri.
È un complimento amplificato, molto più efficace che se fosse diretto.
«Sai, - disse un amico al francese Mauriac - tutti dicono che il premio Nobel ti è stato assegnato a pieno diritto».
Mauriac confessò che quel complimento indiretto gli aveva fatto molto piacere.
Quando si incontra una persona che per effetto della sua posizione è oggetto di troppe lodi, non c'è di meglio che complimentarla indirettamente, lodando cioè qualche cosa che è di sua preferenza (la sua casa, il suo giardino, le sue occupazioni).
Per quanto un uomo possa dubitare della verità di ciò che gli vien detto sul suo conto, non dubita mai dell'elogio per le cose che egli ama.
Duhamel scrisse: «La più grande gioia è dare felicità agli altri. La lode sincera è un atto di carità delicata. Coloro che l'ignorano, hanno tutto da imparare dalla vita».
Un cuore che ama è riconoscente
«Avevo avuto come insegnante di scienze naturali all'Università un professore che aveva fama di essere un orso intrattabile. Anni dopo - racconta Donald Peattie - ricordandomi di lui gli scrissi per ringraziarlo e per dirgli l'importanza che per me avevano avuto le sue lezioni. Ricevetti subito la sua risposta. Diceva: "La tua lettera ha dato un significato a tutta la mia vita d'insegnamento. In 35 anni passati a dare il meglio di me stesso, non avevo mai ricevuto finora una sola parola di riconoscenza da parte di uno scolaro. Grazie"».
Costa così poco dire grazie. La riconoscenza è una delle più alte espressioni dell'amore. Ma esige dimenticanza di sé e sguardo sugli altri. È un dono, uno dei più bei doni che si possa fare agli uomini.
Esprimete la vostra riconoscenza con le parole. Una parola di gratitudine produce in chi la riceve una misteriosa impressione di gioia, di felicità, di espansione. «Quando sento la mia bambina dirmi con letizia riconoscente: "Grazie, papà", mi sembra di essere un re», scriveva Leone Bloy. La riconoscenza, per essere espressa in parole, esige una grande semplicità e purezza di cuore.
Dite il vostro grazie con uno sguardo, con un gesto, con un sorriso. «Quando una povera bimba idrocefala mi espresse la sua gioia con un lampo negli occhi - raccontò un corrispondente del Catholic Digest che aveva fatto visita al Cottolengo di Torino - compresi che quella piccina mi aveva abbellito di gioia il momento presente».
Ringraziando, voi vi arricchite. È sufficiente talvolta un semplice sorriso per esprimere un grazie. Non occorre altro. San Paolo invitava i primi cristiani: «In ogni circostanza dite sempre grazie a Dio Padre, per mezzo del Signore Gesù Cristo».
Siate riconoscenti contraccambiando con la preghiera. «Qualunque cosa chiederete in nome mio, - ha detto Gesù - l'otterrete». Una maniera finissima per ricambiare un dono che vi è stato fatto è il pregare. La preghiera è come presentare un blocchetto di assegni al Signore, pregandolo di metterci la sua firma. Lui firma e voi potete riscuotere il dono.
Dite il vostro grazie con una lettera. Alcune volte la voce non sa esprimere la gratitudine del cuore. Basta allora una semplice lettera con un grazie per scritto: serve a riscaldare il cuore di un amico o a far sì che un estraneo vi diventi amico. Scrivetela, e per espresso.
Dite il vostro grazie con un dono. «Il dono più bello per l'onomastico della mamma - racconta Francis Jammes - fu quando la pregammo di starsene tranquilla tutto il giorno. Papà, io e le sorelle sbrigammo le faccende di casa. Preparammo noi da mangiare, facemmo tutto, lavammo perfino i piatti. La mamma alla fine ci disse: "Grazie, non potevate farmi un dono più bello: mi avete regalato una giornata"».
Ringraziate Dio mattina e sera. Lui è Padre, Signore, Creatore. Luigi Bromfield, l'autore di La grande pioggia, scrisse una stupenda preghiera di ringraziamento: «O Signore, ti ringrazio del dono di vivere in un mondo pieno di bellezza, di emozioni, di diversità. Ti ringrazio della gioia della musica, dei figli, del pensiero, delle conversazioni con gli altri uomini, dei libri che posso leggere accanto al fuoco o a letto mentre la pioggia picchia sul tetto o la neve turbina fuori delle finestre. Ti ringrazio del sorriso che splende sul volto, del contatto di una mano amica, del riso di un bimbo, dello scodinzolare di un cane. Ti ringrazio di tutte queste cose e di tante altre ancora. Ma soprattutto ti ringrazio della gente, della sua bontà e comprensione che sovrastano infinitamente l'invidia, gli inganni e i raggiri».
Una bimba, quando volle esprimere il suo grazie ai genitori, disse così: «Voi siete nati dal mio cuore». Non poteva trovare una formula più bella.
La pazienza è il prolungamento dell'amore
Un americano ebbe lo scrupolo di annotare tutti i litigi domestici che erano scoppiati tra lui e la moglie, durante 15 anni di vita coniugale. Eccone il bilancio:
1689 volte litigò lui: perché non era pronto da mangiare;
1282 volte litigò lei: perché lui spendeva troppo con gli amici;
1631 volte, lui: perché lei spendeva troppo nei negozi di moda;
3 volte, lui: perché lei era gelosa;
853 volte, lei: perché lui era rientrato con le scarpe sporche;
550 volte, lei: perché lui non voleva credere che sarebbero morti tutti e due nello stesso giorno;
1 volta, lui: perché lei si era servita di un vecchio rasoio per scucire un abito.
Contro i litigi non c'è altro rimedio che la pazienza. «La carità (cioè l'amore) è pazienza», scrisse San Paolo. E San Tommaso notava che la pazienza è la virtù dei forti. La perfetta letizia nasce dalla pazienza, soleva dire San Francesco d'Assisi.
Ecco sette segreti che possono aiutare a conquistare questa splendida virtù:
1. Essere persuasi che non c'è forza più potente al mondo dell'amore, cioè della bontà. I «duri» non fanno che inasprire.
2. Avere una profonda vita interiore. Quando Dio è tutto in un'anima, allora le cose di quaggiù prendono un'esatta dimensione e prospettiva.
3. Saper dimenticare. Quando si è offesi, insorgono subito dei sentimenti vivi di reazione. Lasciate passare il tempo, dimenticate; tutto ritornerà normale.
4. Saper tacere. Occorre un'estrema padronanza di se stessi perché le parole restino calme nel momento in cui ci si sente feriti nelle fibre più intime della personalità.
Monica, madre di Sant'Agostino, aveva un marito che era una peste. Passata la sfuriata, con delicatezza gli diceva le poche parole di rimprovero. Quando le sue amiche le chiedevano come facesse a sopportare un marito così collerico, rispondeva: «Tengo a freno la lingua».
Prima della guerra mondiale, nell'esercito tedesco un soldato non aveva il permesso di protestare o querelare subito chi l'avesse offeso. Doveva prima dormirci sopra e calmarsi. Se formulava il suo reclamo immediatamente, veniva punito. L'americano Carnegie, che riferisce il fatto, commenta: «Ci dovrebbe essere una legge simile anche per tutti i brontoloni, gli irascibili e i malcontenti».
5. Saper prevedere. Occorre studiare i momenti in cui si accumulano le tensioni, e preventivare le occasioni e le persone che possono far perdere la pazienza. Si tratta di una semplice programmazione, all'inizio di ogni giornata.
6. Saper chiedere scusa. L'impazienza fa spesso commettere degli sbagli; quando ci si accorge di aver sbagliato non c'è di meglio che chiedere scusa, soprattutto alle persone inferiori. Facendo così non ci si diminuisce, non ci si disonora affatto; al contrario ci si ingrandisce e ci si fa amare. La gente umile capisce che si può anche sbagliare. Ma non capisce mai che si possa diventare ingiusti.
7. Non drammatizzare. La maggior parte dei litigi ha origine da una bagatella. Una scintilla scatena un incendio. Una goccia d'acqua provoca un diluvio. Una semplice divergenza fa scoppiare un conflitto. Tutto ciò perché si esagera; bisogna ridurre ogni cosa alle giuste proporzioni.
Ci sono famiglie in cui il litigio esiste allo stato endemico. Tutto prende proporzioni drammatiche: una porta mal chiusa, una forchetta messa male, il caffè troppo caldo o troppo freddo, le patate senza sale o salate due volte, una boccetta rovesciata, un ritardo di cinque minuti, una dimenticanza insignificante, un disguido senza importanza: ogni sciocchezza diventa motivo di irritazione e di litigio.
Un giurista che ha dovuto studiare in America migliaia di casi di abbandono di domicilio da parte di uno dei coniugi, ha dichiarato che gli uomini se ne andavano via generalmente perché erano stufi di litigare con la moglie.
Mettetevi con l'umiltà a servizio degli altri
Tenete presente che:
1. Ogni uomo è convinto della propria importanza e ci tiene che sia riconosciuta anche dagli altri.
2. Ognuno si interessa principalmente a sé.
Ed ecco una collana di piccole norme utili per la conversazione:
Evitate i lunghi monologhi. La conversazione consiste essenzialmente in un dialogo, ma perde il suo carattere proprio di scambio verbale quando voi fate un monologo e vi impancate a professore.
Se voi parlate interminabilmente, chi ascolta non vi potrà seguire senza fatica. Più prolungate il vostro discorso e più gli interlocutori trovano penosa e irritante la doccia di noia che voi infliggete loro.
Toccate gli argomenti che interessano il vostro interlocutore. Ecco il fascino di un conversatore brillante: tenere sempre teso l'interesse di chi ascolta. Avete mai sentito dei signori che discutono di politica o di diplomazia con donne che siano appassionatissime di moda e di cosmetici? Sarebbe una gaffe madornale.
Un giovane scienziato, naturalista di eccellente valore, che apparteneva all'alta società, frequentava i salotti più chic ma, pieno di preoccupazioni scientifiche, non parlava che di batraci e di rane. Gli altri naturalmente lo schivavano perché non c'era verso che lui non intercalasse nella conversazione i suoi studi sulle rane, evitando rigorosamente ciò che poteva interessare gli altri. Quando compariva lui, provocava il vuoto attorno a sé.
Parlate con il vostro interlocutore di ciò che l'interessa; meglio ancora, fate parlare il vostro interlocutore. Mostrategli il piacere che voi provate ad ascoltarlo. Ne sarà entusiasmato e racconterà dappertutto che voi siete la fenice dei conversatori. Ciò suppone un po' di abnegazione; non tanta, però: un po' di oblio di sé, di dimenticanza.
Ascoltate, ascoltate. Si trovano molti facondi parlatori, ma pochi buoni uditori. Ascoltate il vostro interlocutore con attenzione. Metteteci sufficiente intelligenza per seguire ciò che dice. Anche se ciò che uno dice non è molto divertente, però chi lo dice è un magnifico soggetto di osservazione. Un adolescente scriveva: «Un uomo: che splendida cosa!».
Discutete, ma sempre con cortesia; sappiate riconoscere la parte di verità che contengono le ragioni dell'altro. Senza benevolenza la conversazione rischia di degenerare in querela, persino in pugilato. Saper ascoltare è un rendere un omaggio prezioso a chi parla; ne resta lusingato e confortato. Imprimete questa regola nella vostra memoria, come uno slogan: ascoltare, ascoltare, ascoltare...
Mettete il vostro interlocutore in rilievo; fatelo brillare. Conducete abilmente la conversazione sugli argomenti che gli convengono. Sostenetelo con delle approvazioni, con dei consensi ripetuti. Introducete delle domande, delle osservazioni che ravvivino il colloquio.
Fate come il gioielliere che per ammirare un diamante lo colloca sotto un raggio di luce, in modo che sprigioni tutto il suo splendore. Manovrate in modo che il vostro interlocutore si mostri scintillante. Per riuscirci occorre molta finezza e molto tatto; bisogna maneggiare la conversazione con una maestria che suppone una lunga esperienza. Ma in compenso voi dimostrerete le risorse del vostro spirito, la nobiltà del vostro interesse, la generosità del vostro cuore. Vi stimeranno e vi ameranno di più.
Fate dei complimenti. Occorre rivelarli nel momento opportuno. L'uomo è «un vaso che ha per manico la vanità». Voi lo potete maneggiare a piacimento, sollevandolo per il manico. Ma l'arte di complimentare è meno conosciuta di quanto si pensi. Per riuscirvi bisogna riunire in sé disinteresse, benevolenza, finezza, tatto, sincerità. I complimenti per essere schietti devono essere veridici e vertere su punti degni di una certa ammirazione. Devono essere sinceri, cioè esprimere un'opinione reale. Devono essere misurati. E devono partire dal cuore. Anche qui è difficile giocare la commedia. Come il volto tradisce le emozioni, così la voce rivela i vostri sentimenti.
Abbiate uno spirito accogliente. Cioè, sappiate accogliere con benevolenza ed esaminare con imparzialità i desideri, i gusti del vostro interlocutore. C'è chi è appassionato di Wagner e chi di Mozart; c'è chi gusta il jazz e chi apprezza il quartetto di musica classica. Accettate francamente ciò che è accettabile, discutete con cortesia. Presentate i vostri argomenti, ma ascoltate anche quelli dei vostri interlocutori. Quando vi sarete fatto uno spirito largamente ospitale, troverete piacere a conversare.
Non fate mai dell'ironia. Il vostro interlocutore ha l'epidermide sensibile. Ricordate il principio: ogni uomo crede alla propria importanza e ci tiene che sia riconosciuta. La minima parola lo diminuisce, lo ferisce e lo urta. Potrà anche sorridere esternamente, ma dentro digrigna i denti. Nessuno ama essere preso in giro, soprattutto in pubblico. Non scherzate nemmeno sui cognomi. Abbiate in questo un'anima gentilissima.
Rispettate gli assenti. Non ci guadagnate mai a parlare male o a mormorare degli assenti. Imponetevi la regola di rispettare gli assenti; non permettetevi sul loro conto alcun giudizio sfavorevole. È questione di nettezza morale.
Il maldicente non diverte che un minuto. Anzi, si fa detestare. Coloro che si sono esilarati alle sue battute mordaci lo temono a loro volta, perché hanno paura di diventare bersaglio delle sue frecce avvelenate.
Rispettate gli assenti, parlatene bene. Se non avete niente da dire a loro vantaggio, tacete. Però è strano che non ci sia nulla da dire di bene sul conto degli altri. Prendete, e bene, le difese degli assenti quando li attaccano in vostra presenza.
Non parlate di voi stessi. Non vi è conversatore peggiore di chi ostenta la propria vanità e fa la ruota come il pavone. Il vostro interlocutore pensa soprattutto a sé; si considera come un centro a cui tutto fa capo.
Non imbarcatevi mai in un interminabile monologo su voi stessi. Per essere veramente simpatici, occorre dimenticarsi, occorre «rinnegare se stessi», come insegna Gesù.
Vi farete in questa maniera una cerchia vasta di amicizie. «Ho sempre pensato - scrisse Ella Wheeler - che le amicizie siano la biblioteca del cuore. L'amico serio è come un libro di filosofia; l'amico gaio è come un libro dilettevole».
Scrisse Goëthe: «L'amore non cerca di dominare; fa di più: l'amore forma».
L'amore è cortesia
Era un chirurgo dai capelli bianchi, come di seta. Dopo un'operazione, disse a una fragile vecchietta:
- Se l'è cavata bene lei, signora Lucia; domani potrà tornare a casa.
- Non l'avrei mai sperato, dottore - rispose la signora Lucia. - È stato tutto merito suo e della sua bontà.
Poi, dopo una leggera pausa d'imbarazzo, aggiunse:
- I suoi conti sono così modesti e per di più devo sempre insistere per farmeli mandare. Ma non posso accettare la sua carità. Non si dimentichi, dottore. Mi faccia sapere quanto le devo.
- Non me ne dimenticherò, - rispose pronto il chirurgo - e mi farò presto vivo.
Qualche giorno dopo la fragile vecchietta riceveva il conto: la cifra era altissima, sbalorditiva. Ma in fondo al foglio il chirurgo aveva scritto: «Pagato tutto dalla sua cortesia squisita, signora Lucia».
Ecco una forma di carità: la cortesia.
La maleducazione rende antipatici. Ci sono delle persone che si fanno uno scrupolo di presentarsi compitissime. Eppure non conquistano i cuori. Che cosa manca loro? Sono come certe rose che sbocciano con una magnificenza sovrana. Se ne ammira lo splendore delicato dei petali; ci si china per fiutarle, ma ahimè, quelle rose non hanno il profumo. Il profumo della cortesia è la cordialità. Voi non susciterete mai simpatia se non farete sentire prima agli altri il vostro amore, la vostra simpatia. Si verifica il detto di Gesù: «Date è vi sarà dato».
La semplice cortesia evita gli urti e permette di vivere in pace con il prossimo. Ma è solo un elemento negativo che non serve a creare l'amicizia. Occorre aggiungervi un elemento positivo: l'amore.
Voi, per esempio, salutate il prossimo, lo felicitate, lo trattate con riguardo. Facendo così, evitate di ferirlo. Ma se al vostro saluto si accompagna un sorriso; se la vostra congratulazione prende un accento di cordialità; se la vostra stretta di mano diventa affettuosa; se i vostri gesti manifestano il desiderio di fargli piacere, tutto cambia. La cortesia allora diventa affettuosa e benevola. Essa tocca il prossimo, lo affascina, e vi attira subito la sua amicizia.
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Lun 21 Ott 2013, 22:26 Da tina
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