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    IL MISTERO DEL TEMPO

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    IL MISTERO DEL TEMPO Empty IL MISTERO DEL TEMPO

    Messaggio Da tina Mer 30 Set 2009, 16:53

    30Partiti di là attraversarono la Galilea, e Gesù non voleva che si sapesse. 31Voleva infatti istruire i discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo verrà consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, ma tre giorni dopo risorgerà». 32Ma essi non capivano quelle parole e avevano paura di interrogarlo.
    (Mc 9,30-32)

    Attraversarono la Galilea. La Galilea è la zona iniziale dell’apostolato di Gesù, della sua evangelizzazione.

    Gesù non voleva che lo si sapesse. Perché non voleva? Perché passava così in incognito, misteriosamente, in quella zona in cui stava svolgendo la sua predicazione? Perché?

    Perché voleva istruire i suoi discepoli su una cosa importantissima: la prima rivelazione della sua Passione, Morte e Risurrezione. Voleva far loro penetrare profondamente nel cuore i pensieri centrali che devono occupare anche tutta la nostra vita: la Morte e la Risurrezione.

    La morte, come massima gloria che noi diamo al Signore e come massima prova di amore. E la risurrezione coma massimo traguardo finale.

    Gesù formula così il suo insegnamento:

    «Il Figlio dell’uomo...». Questa parola è sempre in bocca unicamente a Gesù, la Chiesa primitiva abbandonerà questo titolo messianico mutato dal profeta Daniele. Il titolo "il Figlio dell’uomo" indica Gesù interamente uomo e interamente Dio, totalmente uomo e totalmente Dio.

    «Il Figlio dell’uomo verrà consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno».

    Consegnato, perché egli vi si abbandona. Dirà: «Ho il potere di dare la vita, e il potere di riprenderla» (in obbedienza al Padre; è la dimostrazione massima dell’amore). «Perché il mondo sappia che io amo il Padre».

    «Ma tre giorni dopo risorgerà».

    La morte è sempre legata alla risurrezione. Dopo un brevissimo intervallo (tre giorni non interi) risorgerà. La risurrezione è una trasformazione profonda. Anche noi dovremo passare attraverso questa soglia ineluttabile.

    Risorgeremo: ecco un pensiero confortante. Saremo divinizzati, saremo totalmente trasfigurati. Noi riceviamo la vita due volte: la prima volta, la vita fisica, e poi la seconda volta, la vita eterna. Vita eterna vuol dire la vita senza fine, ma soprattutto la vita di Dio che è l’eterno, la vita divina. La nostra seconda nascita è verginale, come l’Incarnazione del Verbo: da Maria per opera dello Spirito Santo. Ecco perché dalla Croce Gesù, vedendo sua Madre, disse «Donna, ecco tuo figlio».

    Essi non capivano quelle parole e avevano paura di interrogarlo.

    Avevano paura; il pensiero della morte ci getta nella paura.

    PARTIRE È UN PO’ MORIRE
    Finire, morire, è il nostro destino appunto perché creature; è il destino di tutte le cose esistenti nel mondo. Ogni volta che noi sperimentiamo, nella natura e nella nostra vita, la fine di qualche cosa, sentiamo come una voce che misteriosamente ci dice: «Anche tu finirai».

    Lo sentiamo in maniera acuta nell’addio a un luogo dove abbiamo vissuto per lungo tempo, nel separarci da qualche persona (come oggi la Direttrice) che è stata fra noi lunghi anni e a un tratto ci lascia; nella morte di persone care. Oppure lo sentiamo anche nell’insuccesso di un lavoro che ci dava significato, nella fine di un intero periodo della nostra vita, nell’avvicinarsi della senescenza; anche nel malinconico aspetto della natura in autunno.

    Vediamo che gli alberi trascolorano, cadono le foglie, le giornate si fanno più corte, soffia il vento, comincia il freddo; il vento della morte spazza l’anima. Tutto ci dice: anche tu finirai. Siamo scossi da questa constatazione.

    Che cosa vuol dire il fatto che noi abbiamo un inizio e una fine? Cosa vuol dire che noi veniamo dall’eternità misteriosa del "non ancora" e corriamo verso l’eternità luminosa del "non più?".

    Sant’Agostino quando si poneva questa domanda, cominciava con una preghiera il suo tentativo di dare una risposta; ed era giusto che facesse così, perché pregare significa innalzarsi all’Eterno. Non c’è altro modo di giudicare il tempo se non di vederlo alla luce dell’eterno, alla luce di Dio.

    Per poter giudicare qualche cosa, noi si deve essere in parte dentro e in parte fuori; se fossimo totalmente immersi nel tempo, non potremmo elevarci nella preghiera, nella meditazione e nel pensiero dell’eternità; saremmo figli del tempo come tutte le altre creature.

    Ma come uomini consapevoli dell’eterno a cui apparteniamo e da cui ci aliena (per usare un termine marxista) la schiavitù del tempo. Quando parliamo del tempo, intendiamo parlare di passato, di presente e di futuro; questo lo sanno anche i bambini; ma nessuno è riuscito a penetrare il mistero del presente, del passato e del futuro.

    Pochi giorni fa, una che era juniore, al numero 35, Sr. Teresina, il 12 settembre, è morta. Rapidissima la sua morte; aveva chiesto di morire giovane, e di morire in un giorno della Madonna, e la Madonna l’ha ascoltata.

    Quando suona una campana a morte, noi sentiamo che qualche cosa muore anche dentro di noi. «Per chi suona la campana?». Anche per noi.

    GIOIA E PAURA DEL FUTURO
    Quando un uomo si stacca da questo mondo, nasce nel cuore l’angoscia.

    Che ci riserva il futuro? Il futuro ci sveglia al mistero del tempo. Il tempo corre dal principio alla fine; ma la nostra consapevolezza del tempo va in direzione opposta. Comincia con la paurosa previsione della fine. Noi vediamo il passato e il presente alla luce del futuro.

    Mistero del futuro! L’immagine del futuro fa sorgere in ognuno di noi sentimenti consacranti. L’attesa del futuro ci da un sentimento di gioia, soprattutto durante la prima parte della nostra vita attendiamo con impazienza e con gioia, il futuro ce lo immaginiamo roseo, bellissimo, lo sogniamo. Più tardi l’attesa del futuro suscita nel nostro cuore sentimenti contrastanti come l’angoscia che ciò che ci nasconde al futuro?

    Di solito, volgendo lo sguardo al futuro immediato, ma quello che ci attende, percorrendolo, lavorando per esso, sperandolo, desiderandolo e allo stesso tempo allontanando alla nostra coscienza la fine di questo futuro. Forse non potremo vivere se non facessimo così, per la maggior parte del nostro tempo. Ma forse non sapremo mai morire se facessimo così.

    Chi non sa morire, non sa veramente vivere.

    Molti si immaginano che il futuro non finisca mai perché mettono la speranza di una lunga vita fra il presente e la morte. Per essi è decisivo ritardare la fine.

    Noi andiamo verso un qualche cosa che non è ancora, ma veniamo anche da qualche cosa che non c’è più. Ci fu un tempo che non fu il nostro tempo; ne sentiamo parlare da quelli che sono più vecchi di noi; c’è lo dicono i libri di storia, e noi cerchiamo di immaginarci l’inconcepibile serie di ani in cui non eravamo né noi né chi potesse parlarcene. Ci è difficile immaginare il nostro "non essere più", ma è ugualmente difficile immaginare il "non essere ancora".

    Vogliamo sapere della vita dopo la morte, ma è raro che ci preoccupiamo di ciò che esisteva prima della nostra nascita.

    Il Vangelo di San Giovanni non è di questo parere: quando parla della preesistenza del Cristo, non solo richiama l’attenzione sul suo ritorno all’eternità, ma anche sulla venuta dall’eternità. «In verità, in verità vi dice, prima che Abramo fosse, Io sono». Non dice Io ero"; dice Io sono.

    IL MISTERO DEL PASSATO
    Il mistero del passato dal quale veniamo sta in questo: che è e non è in ogni momento della nostra vita. In ogni cellula del nostro corpo, in ogni lineamento del nostro volto, in ogni moto della nostra anima è presente il nostro passato. Il passato influenza tremendamente il presente.

    La scienza moderna ha esplorato questo mistero. Sappiamo dall’influsso che le esperienze dell’infanzia esercitano sul nostro carattere; una mancanza di amore nei primi anni è distruttiva per tutta la nostra vita. Sappiamo delle cicatrici lasciate dagli avvenimenti di quei primi anni. Il passato può essere presente in noi come una maledizione se è stato colpito dal peccato, oppure come una benedizione se è stato trasformato dal perdono divino.

    Il pentimento è l’atto in cui la nostra persona si separa da certi elementi del suo essere, e li abbandona al passato.

    C’è anche il vuoto del nostro passato; alcune esperienze che nel tempo passato ci sembravano piene di un ricco contenuto, ora appena le ricordiamo. La loro ricchezza si è dissolta, è svanita, la loro estasi è morta, la loro pienezza si è trasformata in vuoto. Piaceri, successi, vanità, hanno questa caratteristica; sono stati inghiottiti dal passato, perché non contribuivano all’eterno.

    IL DIVINO PRESENTE
    Il presente condensa il passato e prepara il futuro. Non c’è enigma più misterioso del presente. Appena diciamo: Eccolo!, è già passato. È un mistero che abbiamo un presente. Il nostro futuro lo precorriamo nel presente; il nostro passato lo ricordiamo nel presente. Il nostro futuro lo precorriamo nel presente; il nostro passato lo ricordiamo nel presente. L’enigma del presente è il più oscuro di tutti gli enigmi del tempo. Non c’è risposta se non nell’eterno. Il presente noi lo viviamo davvero solo se è impregnato di eterno. La Lettera agli Ebrei parla di un "oggi" di Dio.

    Solo quando Dio irrompe nel nostro presente, noi viviamo il presente. Coloro che non si accorgono mai di ciò, perdono la possibilità - dice la Lettera agli Ebrei - di riposare nel presente: non entrano mai "nel riposo divino"; sono presi dal passato e non sanno separarsene; fuggono verso il futuro, incapaci di riposare nel presente e non entrano mai nel riposo divino che arresta il flusso del tempo e che ci dà la benedizione del presente.

    Il momento presente deve essere carico di eternità perché sia divino.

    Solo Gesù ha il potere di distruggere ciò che angoscia, che ci rovina, lui che è "il Principio e la Fine", lui ci dà il perdono di ciò che è passato, e ci dà il coraggio per ciò che è futuro; ci dà il riposo in questo presente eterno, e illumina il nostro presente di una luce di gioia, di un sorriso di amore. «Il sorriso è una trasfigurazione divina del presente».

    Simone Weil, una donna ebrea, intelligentissima, morta alla fine della guerra che ha lasciato scritti molto belli "alla ricerca di Dio", raccontò di essere stata impressionata in una abbazia benedettina da un giovane inglese dopo la comunione. Riferì: «Si staccava dalla balaustra, con lo splendore di un presente eterno, trasfigurato da Dio in quell’attimo». Quel giovane le passò una poesia da Lui composta che ha per titolo "Love" (Amore). Le diceva: «L’attimo presente è ricco di amore; è l’amore di Dio».

    Il sorriso di Dio è nell’attimo presente.
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